Mese: settembre 2009

Foto giocando

In occasione del ventennale  della convenzione sui diritti del fanciullo dell’Onu, l’Associazione Maith ha organizzato una mostra fotografica sui “diritti naturali” del bambino intitolata “L’estate che ti ho visto crescere”, dove i bambini ritratti non sono “oggetto” da vedere, ma nell’ essere coinvolti partecipano direttamente alla creazione dell’autrice, quasi come se gli scatti fossero opera loro.

La mostra che abbiamo visto è concepita come un invito ad entrare in contatto con il mondo dell’infanzia attraverso fotografie inserite in una cornice ludica e accompagnate da ghirigori, stelline e scarabocchi, che in questo contesto svolgono una funzione di commento visivo al posto dei testi scritti.

La motivazione che sta alla base del progetto è quella di diffondere una cultura in cui i bambini sono sostenuti ad esprimere la loro curiosità, il loro bisogno naturale di esplorare la natura, l’ambiente che li circonda in maniera spontanea e libera.

I bambini esprimono il diritto ad oziare, a sporcarsi, ad essere spettinati, a maneggiare attrezzi “pericolosi”, a vivere in un paesaggio dove si raccolgono tutte le sfumature di cui gli sguardi che crescono hanno bisogno per poter sviluppare una sensibilità estetica.

Le immagini, immediate e di rara bellezza,  della fotografa Isabella Rosa colgono infanzie in movimento, mai statiche, neppure nei ritratti da vicino dove ammiccano visi contemplativi, sorrisi sdentati, occhioni sgranati e fanno capolino piccoli piedini impastati nel fango.

La mostra è stata temporaneamente ospite del palazzo del Comune di Cassinetta di Lugagnano (Mi) ed è la prima tappa di una serie di iniziative (laboratori e altro) che l’Associazione Maith rivolge sia ai bambini che agli insegnanti, mentre l’esposizione è prenotabile per nuove installazioni.

Per contatti ed informazioni: 339 4905743, oppure cliccare sul link all’inizio dell’articolo. 

Esplorando l’inconscio con la settimana enigmistica di Max Ernst

Una  mostra decisamente affascinante vista quest’estate  è l’esposizione al Museo d’Orsay di Parigi delle litografie di Max Ernst intitolata “Une semaine de bontè” (Una settimana di bontà) che l’artista realizzò durante un soggiorno in Italia nell’estate del 1933. Max Ernst fu un artista vicino al movimento surrealista, con il quale dialogò a lungo lo psicoanalista Lacan.

Questi collages, spiazzanti e  disorientanti, richiamano l’esperienza del “perturbante”, che secondo Freud, è qualcosa che si vive in maniera tanto più strana e spaventosa quanto più  ci appare familiare: esseri con teste di leone che compiono ogni serie di crudeltà mentre altri con  teste di gallo assistono a queste scene sghignazzando, camere ed appartamenti sommersi dall’acqua, serpenti, draghi e ghigliottine che sbucano dai posti più insospettati, un uomo-uccello che trascina con un pugnale il piede di una donna nuda..

Insomma tutto un catalogo degli orrori che si generano dalle emozioni più intense (la gelosia, l’invidia..) passati attraverso il filtro dell’immaginario popolare, delle fiabe e delle leggende. Piani di realtà si sovrappongono, il tutto appare legato da una successione casuale e indeterminata: se si riesce a non farsi sopraffare o “sedurre“ come spettatore dalla violenza delle immagini esposte la visione di queste rappresenta un’ottimo esercizio per avvicinarsi a ciò che possiamo chiamare inconscio, una regione della nostra psiche  tanto oscura e sfuggevole quanto disprezzata e negata : una concatenazione casuale di eventi dove i piani temporali e spaziali si mescolano e si confondono tra loro, come, in maniera molto simile, avviene nei sogni o nei rebus che troviamo giocando nella “Settimana Enigmistica”.

(l’immagine riprodotta è tratta dal catalogo della mostra edito da Gallimard)

Ritorno a scuola !!

I bambini tornano a scuola, con mille aspettative e preoccupazioni di genitori ed insegnanti.

Uno dei sintomi che mettono in crisi i genitori è la fobia scolare, cioè il rifiuto immotivato di andare a scuola.

Spesso dietro una fobia della scuola si cela una un’eccessiva preoccupazione per l’ansia di separazione dalle principali figure di riferimento. Si presenta verso i   7-8 anni e si manifesta spesso in occasione di un cambiamento nella vita familiare : nascita di un fratellino, malattia di uno dei genitori, trasloco, separazione, cambiamento di insegnante.. Alla radice c’è il timore di essere abbandonati e la paura del distacco.

Nella nostra esperienza clinica abbiamo incontrato più preadolescenti che bambini : in questi casi si presentano dinamiche  familiari fortemente conflittuali e parziali insuccessi scolastici. In tali circostanze la scuola può diventare uno strumento di “ricatto” da parte del ragazzo  per rivendicare maggiore attenzione, per  segnalare un disagio che circola in famiglia e che riguarda anche gli altri componenti oppure per mettere in luce una situazione scolastica frustrante ed opprimente legata al rapporto con i compagni o con qualche professore.

Questo comportamento genera contrasti in famiglia ed alimenta maggiori tensioni, tuttavia rappresenta un “miglioramento” all’interno di un certo contesto, perché la comparsa della fobia rappresenta una difesa attraverso il quale il bambino si libera di un’angoscia profonda collocandola in qualcosa di individuabile, limitato, circoscritto e che a questo punto può essere affrontato chiaramente “alla luce del sole”.In genere i  bambini  manifestano una serie di disturbi psicosomatici : dolori addominali, cefalea, nausea, attacchi di vomito, tachicardia, sudorazione.

In questi anni abbiamo avuto modo di riscontrare che i bambini hanno bisogno, di solito, di uno spazio terapeutico “tutto per loro” dove scaricare le loro angosce ed inquietudini per essere aiutati a recuperare la sicurezza e la forza necessaria a riprendere la frequenza scolastica.

L’atteggiamento dei genitori  è fondamentale: riuscire a trasmettere fiducia nelle risorse dei figli e allo stesso tempo dare a  loro tempo per “guarire” è difficile ma essenziale.

Inoltre, abbiamo osservato che molti di questi  bambini hanno bisogno di una maggiore partecipazione dei genitori, in particolare dei padri, alla vita scolastica, un coinvolgimento “non solo a parole” ma nei fatti: accompagnarli al mattino parlando con loro nel tragitto, magari seguendoli all’inizio fino al portone, sfogliare la sera i quaderni e il diario insieme a loro rinsalda il rapporto tra  genitori e figli  e li rassicura sul fatto che possono sempre contare sulla disponibilità di qualcuno pronto a raccogliere il loro malessere e ad ascoltarli. ( nell’immagine la piccola Stefi alle prese con i libri di scuola, simpaticisssimo fumetto del Corriere dei piccoli degli anni settanta-ottanta di Grazia Nidasio, nonchè sorella minore di Valentina melaverde)

La sofferenza mentale sul lavoro è ancora un tabù

Continuando a sfogliare quotidiani esteri  notiamo un articolo significativo su le Monde del 27 agosto: anche oltralpe c’è un’emergenza che riguarda la sofferenza sui luoghi di lavoro , mentre in Italia si è drammaticamente manifestata attraverso l’incremento degli infortuni sul lavoro, in Francia si sono registrati  una serie impressionante di suicidi in particolare nei luoghi più esposti alla pressione dell’organizzazione del lavoro come nel settore delle telecomunicazioni, i casi più eclatanti in France Télécom.
Il medico del lavoro intervistato a proposito afferma che < Sia l’impresa non ha preso in considerazione i segni precursori, sia ha fatto prova di una indifferenza intollerabile. Questo problema della sofferenza sul lavoro non è sufficientemente studiato. Né sul piano sociale né sul piano scientifico o statistico.(..)La sofferenza può nascere da un eccesso di lavoro oppure, al contrario, da un carico di lavoro insufficiente. Da una formazione troppo leggera che pone il lavoratore in una situazione indifendibile , ma egualmente da una mansione che si ritiene troppo inferiore alla propria qualifica.
La nozione di riconoscimento dell’individuo è centrale dentro un quadro di sofferenza: la mancanza di autonomia, il sentimento di non poter utilizzare le proprie competenze,la sensazione di non ricevere la stima che si pensa di meritare.. >>
L’intervistato conclude dicendo che è necessario farsi carico su un piano sociale del problema della sofferenza mentale sul lavoro, come  lo si fa per il cancro in materia di sanità pubblica, ma purtroppo questo discorso è ancora un tabù.La prevenzione diventa ancora ancora più necessaria in relazione all’assenza o alla perdita del lavoro che genera situazioni di malessere e di depressione che a volte sfociano in violenze e crisi familiari. Spesso le persone provano vergogna e senso di colpa di fronte alla disoccupazione e fanno molta fatica a reagire e a chiedere aiuto pubblicamente.
Oggi, come è evidente a tutti, la precarietà crescente del lavoro e l’aumento della pressione psicologica sugli individui a causa di una maggiore insicurezza vissuta dalle persone comporta spesso che  ci si trovi di fronte all’alternativa tra il mantenimento del posto di lavoro e preservare la propria salute mentale.
Infatti,  sempre più spesso ci troviamo di fronte a persone che vengono nella stanza di terapia a chiedere di essere aiutati a risolvere questo dilemma per prendere delle decisioni importanti riguardo la loro vita familiare e per dare un nuovo senso alla loro esistenza . ( per saperne di più sulla storia della psicologia del lavoro in italia:link-it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Novara)

Demolizioni e distruttività

Chiunque osservando da fuori la struttura dove è situato il nostro centro noterà un cambiamento, dal lato sinistro compare un grande vuoto, infatti l’edificio vicino è stato demolito durante il torrido mese d’agosto.

Qualcuno  si era pure domandato se fosse stato il nostro studio ad essere distrutto…  quest’evento ci ha portati a riflettere sul significato simbolico e il vissuto legato alla distruzione.

La distruttività viene espressa in terapia e rappresenta uno dei migliori combustibili per costruire una relazione autentica ed esercitare un  cambiamento interiore: alcuni individui fanno fatica a esprimerla entro certi limiti e in termini contenuti, non sono in grado di  modularla e questo spesso incide sulla loro vita quotidiana e nelle loro relazioni.

C’è chi, all’opposto,ne difetta e non riesce  ad esprimere rabbia e aggressività perché li vive come pericolosi e  teme possano compromettere i rapporti.Questi sentimenti allora diventano qualcosa di “negativo” in sé, e quindi vengono vissuti con angoscia ed in modo “catastrofico”.

I bambini, invece,  che usano con maggiore spontaneità i loro impulsi distruttivi, giocano ad eliminare l’adulto sia attraverso il gioco, i disegni e i sogni  permettendosi di ricreare di volta in volta un mondo nuovo e più vicino al loro vissuto, rinnovando così la gioia della scoperta e della creatività: bisogna distruggere per costruire qualcosa di nuovo”.

D’altronde tutta la psicoanalisi si fonda principalmente sulla valorizzazione e sul recupero di resti, rovine,macerie, di ciò che viene scartato e rimosso dalla superficie della nostra coscienza.

Infine la percezione di un luogo distrutto può evocare dei ricordi legati a qualcosa che non c’è più sollecitando l’elaborazione del lutto per un mondo scomparso, spesso legato all’infanzia che però rimane conservato negli anfratti della nostra mente : accade frequentemente che anziani sofferenti di Alzheimer  si perdano per  strada e quando vengono ritrovati, a chi gli domanda dove stessero  andando, spesso rispondono descrivendo vie che non esistono più, luoghi d’infanzia , una mappa che viene custodita preziosamente dentro di loro.

Per ora ci fermiamo qui perché rimandi e collegamenti relativi alla distruttività andrebbero  ben  oltre i limiti di spazio e le finalità  di questo articolo per cui ci ripromettiamo in seguito di  riprendere questo argomento.

Giornali esteri

Sfogliando qua e là giornali esteri, come a volte capita durante il periodo estivo , si possono trovare notizie illuminanti come ieri su LIBERATION, uno dei principali quotidiani francesi, che riportava in prima pagina  le dichiarazioni del ministro dell’interno francese, il quale di fronte ad un aumento della delinquenza e della violenza giovanile intende presentare un disegno legge che prevede la formazione di un’equipe multidisciplinare composta da una personalità indipendente, uno psicologo e un funzionario della polizia per intervenire sul campo al fine << di disinnescare le situazioni di crisi, suscettibili di aggravarsi  per evitare le false dicerie, le incomprensioni, gli eccessi.. >> . Il pensiero che sta alla base di questo progetto legislativo è che è necessario ricostruire un diaologo tra i giovani e la società, e in particolare le forze dell’ordine a causa di tensioni sociali sempre più forti. Chissà se esempi come questi possono essere presi seriamente in considerazione in  Italia !

Sempre ieri sul GUARDIAN, autorevole quotidiano inglese indipendente, nelle pagine dei commenti e dei dibattiti, si denuncia il fallimento dell’approccio biologico al trattamento e alla cura dei disturbi mentali sottolineando la necessità di riportare l’attenzione sul paziente come persona esortando di << ascoltare di più le persone somministrando loro meno farmaci>>.

Al termine dell’articolo si auspica lo sviluppo di una cura che si basi sullo sviluppo delle recenti scoperte scientifiche e che ritorni a riferirsi  all’esperienza dei soggetti piuttosto che all’ideologia farmacologica.