Mese: ottobre 2010

Incontri tra le generazioni


L’ascolto più che l’interpretazione è fondamentale nella relazione con chi soffre e  la passione per la verità dovrebbe muovere ogni terapeuta al lavoro con il suo paziente, questo giunge dalle vive voci di cinque donne che hanno fatto la storia della psicoanalisi dopo aver raccolto il testimone dalla seconda generazione di analisti ( Melanie Klein, Anna Freud, Paula Heimann, Michael Balint e altri) che si confrontano in un dialogo aperto, nonostante le scuole diverse di appartenenza, su  pazienti,  ruolo e  futuro della psicoanalisi nella società contemporanea.

Uno stile colloquiale semplice ma diretto, chiaro, lucido da cui traspare a volte un atteggiamento che  può sembrare forse severo ma mai di autocompiacimento.

Questo video eccezionale fa parte di un progetto di un Istituto di ricerca britannico che diventerà presto un documentario.

I bisogni dei bambini

I bisogni essenziali dei bambini, di essere pensati, contenuti, visti , ascoltati e rispettati è il filo conduttore di due serate svolte da Maria Garbini, psicologa e psicoterapeuta, nel mese di Maggio a San Pietro all’Olmo e a Bareggio per l’Associazione L’Abaco e la Cooperativa Comin, due realtà attive nel nostro territorio che coniugano impegno sociale e preparazione teorica nel proporre iniziative e riflettere sul ruolo educativo della comunità adulta. Entrambe le serate nascono dall’idea di fondo che la responsabilità educativa appartiene a tutti, che non deve essere delegata alle scuole né essere lasciata sulle spalle delle famiglie . Le due serate sono state partecipate e coinvolgenti nella discussione e nel confronto reciproco attraverso l’introduzione alla lettura di un piccolo classico della letteratura per ragazzi “Skellig “ di David Almond.

La storia di un ragazzino alle prese con gli eventi drammatici della sua famiglia che affronta numerosi temi fondamentali per la crescita:l’amicizia , l’avventura , il coraggio, il sentimento di essere diversi. Al centro delle narrazioni per bambini e adolescenti di oggi si trovano spesso figure di ragazzi alle prese con la fatica di crescere in un mondo ostile dove gli adulti sono assenti mentalmente o fisicamente oppure vivono in famiglie “tradizionali” dove i genitori stanno attraversando un momento della vita più complicato e difficile degli altri.

Se le storie contemporanee ci stanno indicando qualcosa è proprio un sentimento di maggiore solitudine ed estraneità dei bambini e dei ragazzi. La forza per affrontare i drammi della crescita questi bambini , quasi-ragazzi la trovano per mezzo dei gruppi di fratelli o il ricorso a compagni immaginari in bilico tra realtà e immaginazione, rifugi ( case sull’albero, garage, vecchie case abbandonate o “stanze tutte per loro”) e compagnie di gioco insolite o anticonconformiste ( spesso incarnate nel primo amico /a dell’altro sesso).

Al termine la spinta più decisa e sicura nel diventare grandi arriva, come nell’incontro terapeutico, con lo sviluppo della capacità di raccontarsi e di immergersi nella profondità delle storie , personale e degli altri.

Una visione nuova:psicologo e medico nello stesso ambulatorio

Una ricerca recente condotta in Italia ha dimostrato l’efficacia della presenza di uno psicologo all’interno di un ambulatorio medico .

Infatti  1/4 dei pazienti che si reca dal medico di base  soffre di disturbi ansiosi-depressivi che potrebbero essere risolti attraverso un aiuto psicologico o una psicoterapia piuttosto che con un farmaco. La ricerca mostra come lo psicologo inserito nel contesto delle cure di base permetterebbe una riduzione del 20% della spesa sanitaria pubblica.

Nel Regno Unito,ad esempio, l’80% degli ambulatori dei medici di base ha a disposizione un consulente psicologo.

Riportiamo qua uno stralcio dell’articolo pubblicato sul quotidiano “il Fatto” la settimana scorsa:

L’immagine iniziale è tratta dalla copertina del “New Yorker”di questo mese , il disegnatore Chris Ware ha immaginato così una famiglia immersa nella crisi di questi tempi. 

 Medico e psicologo nello stesso ambulatorio

La prevenzione che nessuno vuole finanziare

Luigi Solano, docente dell’Università La Sapienza di Roma, da dieci anni mette in pratica la sperimentazione. Abbattendo i costi della spesa farmaceutica del 20%. Ma la sua ricerca non trova fondi per andare avanti

Quante volte il vostro medico di base vi ha trattati come “malati immaginari”? Quante volte, uscendo da quell’ambulatorio, avete dovuto comunque fare i conti con ansie, dubbi e paure? La psicosomatica contemporanea, branca di studio a cavallo tra la psicologia e la medicina, si occupa proprio di questo, producendo una vasta gamma di ricerche e sperimentazioni. “Umanizzare” la pratica medica, può voler dire anche mettere fisicamente nella stessa stanza medici di base e psicologi. E’ quello che sta facendo da 10 anni il Professor Luigi Solano, docente di Psicosomatica della facoltà di Psicologia all’Università la Sapienza di Roma, che racconta: “La nostra esperienza  ha aiutato molte persone a scoprire che spesso la malattia è strettamente collegata alla particolare situazione che si sta vivendo. E questo può avere un effetto molto più potente di qualsiasi farmaco”.

Cosa vi ha spinto a intraprendere questa esperienza di “copresenza” di medico e psicologo nell’ambulatorio di base?

Bisogna partire da due considerazioni. Da una parte i medici fanno sempre più fatica a occuparsi del paziente in quanto persona, e quindi ad accogliere tutta quella quota di disagio (che ormai è stimata almeno al 50%) che pur presentandosi come somatico, nasconde in realtà tutt’altre origini, che sono di natura psicosociale. Dall’altra bisogna fare i conti con i pregiudizi molto forti che ancora gravano sulla psicologia clinica. Dal medico siamo abituati ad andarci tutti. Ce l’abbiamo da quando nasciamo, e ci viene assegnato gratuitamente. Con l’idea che siamo anche tenuti ad andarci quando stiamo male. Dallo psicologo, invece, c’è l’idea che ci vanno solo alcune persone un po’ particolari. Il risultato è che, parafrasando la famosa battuta di Woody Allen: “Si va dallo psicologo soltanto dopo essere stati a Lourdes”.
Lo studio medico quindi ci è sembrato il luogo elettivo per inserire la figura dello psicologo, con il compito di affiancare il medico e raccogliere la domanda di tutti coloro che si presentano. Questo ci consente di intervenire nelle prime fasi del disagio.

Ci descrive la ricerca vera e propria?

La nostra esperienza è stata condotta all’interno della Scuola di specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università “La Sapienza” di Roma, che dipende dal Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, ed è stata svolta come forma di tirocinio per gli specializzandi. Si tratta di psicologi laureati e abilitati che io supervisiono regolarmente, discutendo tutti i casi. La nostra esperienza va avanti ormai da dieci anni. Hanno partecipato 11 psicologi, sono stati coinvolti 8 studi medici, ciascuno per la durata di 3 anni. Lo psicologo è presente una volta a settimana nello studio medico e vede tutti i pazienti, tranne quelli che fanno esplicita richiesta di essere visitati unicamente dal medico (questa evenienza si è presentata solo 4 volte). Questa impostazione si è dimostrata già sufficiente per produrre dei risultati e degli effetti.
Lo psicologo ascolta quello che la persona dice e interviene nel contesto della visita. In alcuni casi, non frequenti, propone degli incontri a parte (al massimo dieci) durante i quali sviluppa il problema insieme alla persona. In un numero ancora più ridotto di casi si arriva a fare un invio il più possibile corretto a specialisti della salute mentale.

I problemi vengono quindi già “risolti” nel contesto ambulatoriale?

Il nostro scopo non è primariamente quello di curare le persone, ma di dare un senso al sintomo che viene portato, soprattutto se esso è di natura somatica, all’interno del contesto di vita della persona. Questo è nella maggior parte dei casi sufficiente ad arrestare un percorso medico che porta a spese inutili, a un’etichetta di malato, o addirittura – quando la persona non trova ascolto – a una escalation di disturbi sempre più gravi. Il senso primario del nostro lavoro è far sì che la persona esca dallo studio medico non pensando di avere una malattia ma pensando di avere un problema.
Spesso abbiamo sentito il paziente dire: “Da un mese ho delle vertigini, vorrei fare una Tac”. Se questo problema non trova un ascolto adeguato, il medico prescriverà la Tac. Se disgraziatamente questa dovesse rilevare qualche reperto casuale, si rischia di arrivare a sottoporsi a ulteriori e più invasivi esami innescando un circuito perverso che può rivelarsi anche rischioso per il paziente.

Freud per tutti

Gli scaffali delle librerie sono state inondati di recente da una serie di nuove traduzioni e introduzioni dell’opera di Freud. Il motivo molto semplice è che nel 2010 sono scaduti i diritti dell’opera di Freud pubblicato da Bollati Boringhieri, che rimane tuttavia l’opera di riferimento principale per la cura editoriale e il fondamentale apparato critico dovuto tra l’altro al contributo di due personaggi decisivi nell’introdurre la Psicoanalisi nella cultura italiana quali Cesare Musatti e Michele Ranchetti.

Questa maggiore diffusione dei testi forse rappresenta l’occasione  di una rilettura per cogliere meglio la bellezza letteraria ed umana dell’opera dell’”inventore della Psicoanalisi” più che il suo valore “scientifico”.