Mese: dicembre 2014

E’ possibile condividere la gioia ?

 Se mi lascio andare alla felicità e tutto finisce ? Gli altri non capiscono e il sogno svanisce ?

Un luogo comune sostiene che la terapia sia uno spazio solo per la sofferenza e il dolore, come se le emozioni positive fossero sbagliate. Così ad un  certo punto del percorso le persone si domandano se parlare e comunicare del loro stare bene sia uno spreco di tempo.

In realtà la stanza della terapia è un luogo dove possono  prendere forma diverse emozioni :  tutto lo spettro delle emozioni che abitano l’esistenza e la vita quotidiana, sia le emozioni piacevoli che quelle spiacevoli hanno diritto di emergere e manifestarsi.

A volte può essere il raggiungimento di una scadenza o di una tappa, la fine della scuola, un esame , il diciottesimo compleanno, una gravidanza , una  promozione,un lavoro ben svolto, oppure un’esperienza che ha cambiato il modo di vedere le cose, una guarigione,un appuntamento  sentimentale andato a buon fine, una scoperta inattesa, un viaggio .…. in ogni caso è fondamentale darsi la possibilità  e il permesso di essere felici e condividere questa emozione con  l’altro .

In alcuni casi ci si può trovare a festeggiare insieme, a partecipare ad un sentimento di gioia, a farsi attraversare reciprocamente da una corrente di benessere emotivo.

La difficoltà , la ritrosia o l’atteggiamento prudente con cui ci si rapporta con le emozioni di felicità , di gioia rivelano qualcosa di significativo rispetto alla cultura in cui viviamo.

Nonostante l’appello ai sentimenti di bontà e la pressione consumistica ad essere sempre sorridenti, si è spesso timidi a riconoscere ed esprimere il proprio essere contenti, quasi come non ce lo si meritasse.

Si è  vergognosi a condividere la gioia come se si rischiasse nel farlo di perdere qualcosa.

Dietro questa riluttanza alla condivisione sembra  agire il pensiero dominante che i successi e progressi nella vita dipendano solo da se stessi.

La diffidenza verso la felicità  si trova spesso collegata  a questi vissuti:

  •  L’idea che questi sentimenti non possano essere compresi e condivisi dall’altro.
  • La preoccupazione di essere giudicati, di colpevolizzarci e di generare invidia o gelosia nell’altro .
  • La convinzione che la felicità possa essere raggiunta solo individualmente . 
  • La sfiducia nelle proprie risorse emotive e nella propria capacità di provare sentimenti. 
  • Il timore che questi sentimenti possano essere così intensi  da non riuscire a gestire e di farsi travolgere da essi. 
  • La difficoltà di lasciarsi andare  (e il sospetto che tali sentimenti non siano autentici e che non ci appartengano, ma siano effetto della  fortuna e del caso  ). 
  • La paura che la beatitudine possa rivelarsi provvisoria e fuggevole e attiri “ i fulmini della distruzione “ così ad un momento di gioia segua rapidamente una caduta nell’infelicità e nella tristezza.

La cultura più profonda in cui siamo immersi ci suggerisce che la felicità sia sempre fuori dal tempo vissuto, nel futuro  in un immaginario al di là, nell’utopia di un mondo possibile   oppure nel passato di una sognante “ età dell’oro” precedente, costringendoci ad essere perennemente insoddisfatti ed così ci sfugge la possibilità  di saperla vivere oltre modelli di felicità e ideali di perfezione, sapendo  godere e apprezzare il momento presente , l’attimo in cui siamo.

Come recita l’Ecclesiaste per ogni cosa c’è il suo tempo “ ogni faccenda sotto il cielo “: c’è un momento per il pianto  e  c’è e ci sarà un momento per la gioia, “ c’è un momento per gemere e c’è un momento per ballare”.

Il momento in cui siamo felici lo possiamo celebrare , l’attimo onorarlo e rendendo partecipi gli altri della nostra esultanza, come ci insegna la tradizione Buddhista, apriamo il cuore al mondo .

Come agisce l’EMDR? Dialogare con il corpo per vie profonde.

L’EMDR è un metodo di terapia energetica  che permette di attivare le capacità  naturali e spontanee delle persone di elaborare i ricordi del passato.  In questo modo durante una fase del percorso terapeutico  si possono affrontare  i traumi antichi  in maniera più selettiva e focalizzata.

Questa tecnica è stata introdotta nel campo della psicologia nel 1987 da Francine Shapiro : emdr sta per Eye Movement Desensitation and Reprocessing, all’inizio Shapiro e i suoi colleghi utilizzavano solo la parola “desensibilizzazione “ in riferimento al sollievo dei sintomi , successivamente si è aggiunta la parola “ Rielaborazione “ per mettere l’accento sul momento ricostruttivo del processo di cura. Francine Shapiro notava infatti  che il metodo da lei utilizzato agiva anche su una rivalutazione del trauma e della visione di sé.  E’ interessante , da un punto di vista storico, come  le sue scoperte si basarono inizialmente sul lavoro condotto con i reduci della guerra del Vietnam,  come cento anni prima Freud consolidava le sue teorie osservando i sintomi traumatici  dei  soldati sopravvissuti alle trincee della  prima guerra mondiale.

Questo metodo risulta essere particolarmente indicato per i disturbi post-traumatici da stress, causato da un evento stressante acuto ( un incidente, lutto , una violenza subita)  ma può anche essere di aiuto per affrontare il trauma cumulativo , cioè il trauma che si produce per accumulo,  a causa della  ripetizione di piccoli eventi stressanti costanti nel tempo e che può generare fobie, depressione, difficoltà di relazione  o ansia  generalizzata .

La tecnica si basa sull’attivazione dei due emisferi cerebrali attraverso la stimolazione bilaterale (  che si può ottenere anche tramite il “tapping “, cioè il tamburellamento con le dita o altre tecniche  ) e l’esposizione alle immagini traumatiche rievocate tramite visualizzazione   che agisce  a livello cerebrale  riaprendo reti di catene associative tra neuroni in cui vengono “fissati” e immagazzinati   ricordi legati ad esperienze negative del passato.

 Le esperienze negative del passato vengono registrate dalla nostra memoria corporea in reti di associazioni “chiuse” come se fossero poste sotto sequestro , il terapeuta sostiene prima un lavoro di desensibilizzazione che comporta una  “liberazione “ di questi ricordi e successivamente un lavoro di elaborazione  verbale di  focalizzazione sulle sensazioni ed emozioni del  corpo che determina una riorganizzazione e riarticolazione  dei collegamenti associativi e cerebrali.

Quest’ultimo punto è importante perché permette al paziente  di lavorare  sia sul piano verbale che su quello corporeo. Il trauma è infatti inscritto sul corpo e nel corpo,lascia  un segno a livello psicosomatico e  il ricordo dell’esperienza traumatica contiene  tanti elementi : l’immagine , le credenze su se stessi e  tutte le stimolazioni sensoriali ( uditive, cinestetiche etc..). La terapia integrata con l’EMDR interviene su tutti questi aspetti.

La flessibilità  della tecnica EMDR le consente di essere integrata in diversi approcci, per quanto riguarda la prospettiva psicoanalitica si tratta di recuperare  aspetti del suo modello iniziale che sono stati gradualmente messi in secondo piano : il ruolo dei ricordi traumatici nell’agire la rimozione, la deviazione e lo spostamento  di cariche affettive originarie   , la spiegazione del disturbo psichico  come risultato di blocchi energetici  che ostacolano  la liberazione dell’affetto , il discorso che riguarda il trauma e i suoi effetti nell’agire la dissociazione e lo scollegamento tra  mente e corpo.

L’EMDR sostiene quindi la capacità del paziente di associare liberamente  che è stata inceppata , inibita nel corso del tempo mostrando  come tale abilità sia forse in molti casi un fine da raggiungere che un mezzo della terapia.

Le persone che vengono in terapia e che utilizzano l’EMDR  sentono di avere a disposizione un metodo potente ed efficace per lavorare e dialogare  con la  mente e il corpo e  al termine del processo parlano dei ricordi traumatici come qualcosa che non è scomparso,  ma  che, allo stesso tempo, appare lontano,  ne possono parlare con toni più distaccati e rilassati, come  di un ricordo di un evento passato ( come esorta Shapiro nel titolo del suo ultimo libro “ Getting past your past”) che  non ha più potere  e quindi  non  si sentono più spinti a ripetere quei  comportamenti disfunzionali che  alimentano la sofferenza nel presente. Questa trasformazione  fornisce alla persona interessata non solo una diminuzione o una scomparsa dei sintomi, ma soprattutto  una nuova fiducia in se stessa.

Mark Strand: la poesia come meditazione

Keeping Things Whole

In a field

I am the absence

of field.

 This is 

always the case.

Wherever I am 

I am what is missing.

When I walk 

I part the air

and always 

the air moves in

to fill the spaces

where my body’s been.

We all have reasons

for moving.

I move 

to keep things whole.

Tenere insieme le cose

In un campo /io sono l’assenza/  del campo. //  E’/  sempre così. /Ovunque io sia/ io sono ciò che manca. //Quando cammino/ divido l’aria /e sempre /l’aria rifluisce /a riempire gli spazi/ in cui era stato il mio corpo.//  Abbiamo tutti i motivi /per muoverci./ Io mi muovo per tenere insieme tutte le cose.

Quando Tich Nath Hanh parla di come noi esseri umani siamo vuoti, forme vuote di qualcosa, quel qualcosa da cui siamo separati è quel tutto descritto da Mark Strand in una delle sue poesie più famose, tratta dalla prima raccolta poetica “ Sleeping with one eye open “ del 1964. Mark Strand , uno dei maggiori poeti contemporanei è scomparso ieri all’età di 80 anni.

I suoi versi sono la migliore introduzione possibile alla pratica della meditazione, una presenza fatta di assenza, dove il respiro che assorbiamo ci attraversa ed esce è l’aria che ci abita , in cui non esiste un fuori e un dentro , ma solo un’interdipendenza di tutte le cose legate l’una all’altra e l’io e’ un’illusione che si puo’ sgonfiare quando diventiamo più consapevoli delle strutture e delle forme che modellano il nostro agire.

When Tich Nath Hanh talks how human being are empty, empty shape of something , these things from which we are separated is the whole described by Mark Strand in one of his most famous poems. Mark Strand is passed away yesterday at the age of 80. His verses are a wonderful introduction to mindfulness, a presence made of absence , where the breath is the wind that dwells us, where doesn’t exist an outside and one inside but only an interdependence of everything connected one another and the ego is an illusion.