Il rapporto con l’alimentazione ci accompagna fin dal periodo prenatale con lo scambio delle sostanze nutritive presenti nella placenta e poi con l’allattamento. Attraverso giochi interattivi , esempi tratti dalla storia dell’arte o dalla letteratura e confronti sui ricordi personali si è approfondito il legame profondo tra cibo e affetti nel laboratorio di Psicologia su”Nutrire l’anima, nutrire i sentimenti, energia per la vita “ , mostrando come le esperienze del passato dello “stare insieme “ a tavola influenzano il modo di rapportarsi al cibo e all’attività del mangiare nel presente..
Il diverso rapporto con il cibo si esprime nell’alternativa tra consumare voracemente in fretta ed apprezzare le sensazioni che si provano nell’atto del mangiare in maniera rilassata prestando attenzione alla qualità del cibo.
Se si intende l’alimentazione in senso esteso, allora dovremmo comprendere con ciò tutta l’energia che assorbiamo per poter vivere e crescere: l’acqua, l’aria ma anche le sensazioni e le emozioni che ci vengono trasmesse fin dall’alba della vita grazie alle persone che ci si prendono cura di noi, emozioni che, dopo averle apprese, diventiamo in grado di esprimere, comunicare e scambiare con gli altri.
Purtroppo, come sappiamo, vivere da bambini in ambienti di deprivazione relazionale , affettiva e di disagio mentale trasforma il nutrimento in elemento tossico che ammala le relazioni tra le persone , alimentando sentimenti quali l’avidità, l’arroganza , la superbia, il disprezzo.
All’interno di una famiglia si possono nutrire affetti che rafforzano il legame tra la coppia dei genitori e i figli e tengono vive le connessioni tra famiglia e mondo esterno oppure coltivare sentimenti che alimentano dipendenza e comportamenti antisociali.
La scelta diventa tra generare amore oppure, all’opposto, suscitare odio, infondere speranza o seminare disperazione,contenere la sofferenza depressiva o diffondere ansia persecutoria,creare confusione o pensare ( Meltzer e Harris ) e aggiungeremmo tra separare il corpo e la mente oppure sentire e provare le emozioni nel corpo.
É quindi compito degli adulti garantire le condizioni affinché si crei un clima di sostenibilità e di convivialità per le generazioni future .
Qui di seguito riportiamo la traduzione di alcuni stralci dell’ultimo articolo pubblicato su “Charlie Hebdo “ della psicoanalista Elsa Cayat, l’unica donna della redazione rimasta uccisa durante l’attentato del 7 gennaio 2015 a Parigi.
“Vorrei parlare della difficoltà che l’essere umano incontra ad aprirsi alle questioni che pone l’altro per la sua differenza , a fare un posto a questa differenza e , a partire da questo , a riconoscere che non ne ha fatta nessuna alla sua: né allo scarto tra quello che vuole e quello che fa, né tra i suoi desideri e i suoi fallimenti, (…)
Si preferisce negare i motivi che si nascondono dietro l’emotivo, censurare l’emozione , credere di essere sorpreso in flagrante delitto di mancanza di controllo. Ora questo atteggiamento ha una ragione : la paura . La paura che ha l’individuo di ritornare sulle vie del suo passato , di rivisitare i suoi amori infantili nella loro realtà, di vedere veramente dove egli era dentro le sue emozioni antiche che, in certi momenti, risorgono alle sue spalle. In genere si preferisce la nostalgia , che è , in greco, etimologicamente, la sofferenza del ritorno e che tradurrei per la scelta della sofferenza in quanto viene considerata a torto come una prova d’amore.
Questa scelta costringe l’essere molto lontano da se stesso, lo conduce a tentare senza risultato di trovare un rifugio dentro ciò che lo sguardo dell’altro dice di lui , e dunque a non essere più se stesso.
La stessa modalità di ricerca in amore non può alla lunga , che deprezzarsi nell’insoddisfazione, la sofferenza e l’ansia. (…)
Diritto e psicoanalisi si congiungono su un punto in comune , perché ciò che è al principio del diritto, libertà ,eguaglianza , fratellanza, è lo scopo della psicoanalisi.
Il diritto, da un punto di vista collettivo, la psicoanalisi, da un punto di vista individuale, sono per svolgere la funzione di limitare l’abuso negli esseri umani ponendo dei limiti, delle regole.
Perché se la psicoanalisi ha scoperto qualcosa di fondamentale , è sapere che la sofferenza umana deriva dall’abuso, e che questo abuso, a sua volta , deriva dal credere ciecamente in qualcosa e dall’aderire ad una sola verità convinti di essere nel giusto.
Abusare dell’altro non è che un segno di onnipotenza perversa, abusare è un segno di alienazione ed essere abusato dall’altro lo è egualmente .
Ora , per uscire da questi rapporti di dominazione e riscoprire un rapporto positivo con l’altro , aperto, non fondato sulla negazione di sé e dunque dell’altro , non c’è altra via di disfarsi di tutte le illusioni su cui sono fondati i nostri pregiudizi . “
Scenari apocalittici, salti cronologici, slittamenti spazio-temporali, buchi neri, vuoti narrativi : gli elementi che costituiscono la trama dei film degli ultimi anni ci racconta un individuo decentrato, frammentato oppure paranoico ed eternamente in guerra .
Spesso il cinema come l’arte, la letteratura ( soprattutto quella di genere ) anticipa gli scenari futuri attraverso la rappresentazione di mondi possibili , di storie di vita. Mai come in anni recenti gli spettatori hanno assistito a visioni di una realtà ipertecnologizzata dove le coscienze si allargano e si estendono, mentre le percezioni diventano instabili e precarie. I protagonisti di queste narrazioni non sentono più il loro senso di realtà o identità veramente minacciato, come si verificava nel cinema di alcuni decenni fa, perché l’immaginario si è fatto invasivo e pervasivo e interfersice nei meccanismi in cui si forma il senso di appartenenza di sé mescolando i confini tra dentro e fuori , tra immagine e realtà, tra verità e finzione.
Emblema di questo continua riorganizzazione delle coordinate che mediano la percezione del tempo e dello spazio è la diffusione e il successo dei telefilm, che possono dilatare la trama per sovrapporla alla percezione del tempo reale, procedendo per anni nel seguire le vicissitudini di personaggi che crescono,invecchiano, muoiono e vengono sostituiti da altri personaggi . Uno di questi esempi è costituito dal Dottor Who , un serial che dura da circa 30 anni che racconta le avventure di un Signore del tempo che si sposta in continuazione da una fase storica all’altra attraverso una macchina, spostamenti e coesistenze di dimensioni temporali diverse lo spingono progressivamente a eventi in cui perde la ragione e la sua stabilità mentale va in crisi.
Nel corso degli ultimi 15 anni nella stanza di terapia sono sempre più frequenti le persone che si lamentano della fatica di adattarsi a tempi accelerati e frenetici e che sperimentano forme di distacco dalla realtà, come se vivessero una disarmoniasempre più forte tra mondo immaginario e percezione di sé .
Le realtà virtuali e digitali hanno intercettato il bisogno degli esseri umani di superare i limiti e i confini in particolare quelli corporei .
Così il cinema contemporaneo nelle sue diverse derivazioni immerge lo spettatore dentro esperienze sensoriali più fusionali ( vedere il 3 d ) ed emotive dove si punta a stimolare brividi, suspense e trepidazione ( la rinascita del genere horror e di quello catastrofista).
La fuga nel virtuale rappresenta una delle possibili risposte ad un futuro incerto ,mentre un’altra soluzione che personaggi di fiction e individui reali mettono in atto è quella di rifiutare l’elaborazione del lutto , la perdita o la gestione dell’incertezza rifugiandosi in comunità chiuse, tribù separate dal resto del mondo o sviluppando forme paranoiche di pensiero dove gli altri assumono forme minacciose e persecutorie e i sentimenti di odio cancellano ogni possibilità di convivenza umana (i due film proto tipici sono stati, molti anni fa, da una parte Existenz e dall’altra Fight Club).
Se il cinema operasse una diagnosi e una prognosi del futuro prossimo, da un punto di vista psichico, cosa ci sta segnalando?
Forse il rischio di una svalorizzazione dei filtri percettivi, sensoriali e mentali che mediano gli scambi tra il mondo interiore e quello esteriore , quelli che ci aituano a porre dei limiti,a differenziare tra realtà e fantasia ?
Si finirà per sovrainvestire sempre di più la nostra sfera mentale amplificando i viaggi di fantasia a discapito del mondo reale e della nostra consapevolezza o capacità di influire sul reale ?
O forse il pericolo di un adeguamento massiccio a tempi di fruizione dei media sempre più accelerati ed espansi , dove non si ha più il tempo per metabolizzare e digerire il contenuto di quello che si assorbe ?
Probabilmente si tratta di una perdita graduale della capacità di distinguere i supporti che veicolano i media e l’esperienza che ne facciamo ( cioè non accorgersi della differenza tra un contenuto- un film ad esempio- assorbito tramite un supporto mediale e un altro – ad esempio la differenza tra un film vissuto davanti alla tv da soli e uno visto al cinema oppure in una multisala… ).
Interessanti esempi sono stati recentemente film come “Lei” di Spike Jonze e il serial tv Homeland.
Forse ci possiamo spostare da questi ultimi modelli per esplorare altre dimensioni , magari più semplicemente intimiste , come film diversamente interessanti dell’ultimo anno ci invitano a fare , e farci accompagnare a notare con maggiore curiosità i dettagli presenti nella quotidianità e le emozioni nascoste tra le pieghe dell’esistenza recuperando le capacità di provare emozioni consapevoli di vivere in un mondo fragile eppure senza paura del futuro: in “Grand Budapest Hotel” dove il personaggio principale, un portiere d’albergo cerca semplicemente di essere, come ricorda l’amico fattorino , “ un essere umano “, cosa non facile in tempo di guerra , o in “ Storytelling” che narra la storia di una famiglia con tutte le sue debolezze, conflitti, segreti restituendoci la consapevolezza di un universo temporale che scorre incurante dei fallimenti, dei sogni e dei destini individuali.