Il suicidio e la sua scia
Il suicidio rappresenta il tentativo di liberarsi da sentimenti di vergogna , impotenza, angoscia, vuoto da cui ci si sente aggrediti, attaccati. Si prova una sensazione che è paragonabile al subire una violenza fisica , cioè ci si sente violentati mentalmente da emozioni che si possono provare a causa di cicostanze dolorose della vita che si stanno attraversando, vissuti insopportabili per intensità e forza..
Un’altra dimensione cruciale del suicidio è quella corporea, infatti il suicidio esprime la fantasia di togliere di mezzo quel corpo che non ci piace, che viviamo come ingombrante , non adeguato, un peso dal quale vorremo liberarci .
L’aspetto impulsivo e la rabbia che nasconde costituiscono la spinta finale , ciò quel fattore che in determinate circostanze porta l’individuo “a levare la mano su di sé”, a passare all’atto, portando a compimento la fantasia di suicidio.
L’azione del togliersi la vita sembra diventare ad un certo punto l’unica via di uscita per scaricare una tensione ed una sofferenza emotiva che non trova parole adeguate per essere espressa nè un pensiero per essere rappresentata.
Il suicidio diventa quindi un grido di disperazione rivolto al mondo interno ed esterno.
Nella maggior parte degli studi sul suicidio si concentra l’ attenzione sulla persona che compie il comportamento suicidario e rimane poco indagata la scia di colpa, vergogna, impotenza , rabbia che lascia dietro presso i familiari, i parenti e gli amici.
Una scia che rimarrà sospesa per parecchio tempo se non vengono prese delle misure per riparare il vuoto della perdita,una nebulosa confusa di sentimenti che genera un ombra di oscurità nella vita delle persone sopravissute, queste ultime infatti spesso finiscono per sentirsi involontariamente “costrette” a provare su di sé quei sentimenti distruttivi che la persona che si è suicidata ha lasciato in circolo, questo vissuto che oltrepassa l’angoscia e il vuoto rimane sospeso e inesprimibile anche per anni e a volte si spinge al di là di una singola vita trasmettendosi in eredità alla generazione successiva che se ne deve fare a sua volta carico.
La ragione risiede nel fatto che i sentimenti più forti che proviamo , l’amore e l’odio , se non vengono elaborati e contenuti in maniera opportuna, non hanno dei limiti temporali e spaziali nelle profondità della mente e di conseguenza non sono ostacolati dalla morte, dalla fine dell’esistenza ma proseguono la loro espansione senza fine superando le difese emotive, sia nella direzione dell’annientamento che verso la costruzione ( . “ una forza che continua ad operare anche dopo… aver distrutto l’esistenza, il tempo e lo spazio” Bion , 1965)
Per questo motivo le nostre emozioni hanno bisogno, soprattutto quando vengono messe a dura prova o in scacco le nostre capacità di contenimento, di uno spazio dove essere riversate, venire ricevute , accolte e di un tempo necessario per essere comprese.
Un luogo dove rianimare le capacità di riparazione , dove far risorgere la speranza , cioè tutte quelle pulsioni costruttive che, come insegnano diversi testi spirituali (ad esempio Il cantico dei Cantici ), sono egualmente capaci su un piano mentale di superare la morte, la fine e ogni limite terreno .e materiale
Purtroppo questo spazio, lo spazio offerto dalla psicoterapia e dalla psicoanalisi, è al giorno d’oggi frequentemente sottovalutato e svalutato a vantaggio di una cultura che tende a privilegiare interventi farmacologici oppure cure a breve termine con il risultato che sempre più assistiamo allo smarrimento e al disorientamento delle persone che sono alla ricerca di un aiuto psicologico quando si trovano ad affrontare l’elaborazione di un lutto.