“Se osserviamo in profondità alcune vie di vita come il Buddhismo e il Taoismo, il Vedanta e lo Yoga, non vi troviamo né la filosofia nè la religione nel senso in cui esse sono intese in Occidente. Vi troviamo qualcosa che somiglia più da vicino alla psicoterapia” ( Alan Watts, 1961).
In questo senso il viaggio che si intraprende con la psicoterapia si può intendere più come una pratica ed un metodo da apprendere che una tecnica con mete ed obiettivi da raggiungere.
Spesso le persone vengono in terapia per guarire da loro stessi,mentre in realtà guariscono dalla loro immagine. Quell’immagine che rende prigionieri vincolandoli a non essere se stessi,l’ immagine che schiaccia appiattendoli su una sola dimensione.
Nel corso del viaggio terapeutico infatti si impara gradualmente attraverso negoziazioni creative e scambi emotivi ad accettarsi con le proprie debolezze, vulnerabilità e fragilità, a familiarizzare con se stessi e a volte anche a far coesistere le parti considerate “ brutte “ e “cattive “con quelle “buone “ e “belle” di sé.
C’erano una volta dei generi trascurati nella letteratura rivolta ai giovani, poi uno per volta sono ritornati in primo piano, la fantascienza, il comico, il sesso e infine quello più ostico ( nonostante i classici lo raccontassero ampiamente ): la morte e la malattia. Ma due anni fa un trentacinquenne dall’aria nerd pubblica il suo quinto libro e rompe definitivamente il tabù, portando in vetta alle classifiche dei libri più popolari THE FAULT IN OUR STARS tradotto in italiano da Giorgia Grilli con il titolo “Colpa delle stelle”. Ne ho sentito parlare per la prima volta da alcune ragazze in terapia, le sedute venivano riempite dalla loro voce che raccontava per filo e per segno la trama del libro con coinvolgimento e partecipazione, alcune mi hanno descritto una notte insonne a leggerlo tutto di un fiato.
Il libro, che poi ho letto su loro sollecitazione, possiede la rara capacità di comunicare un aspetto della realtà ( certo per via di una finzione romanzesca) spesso difficilmente tollerabile dai ragazzi, senza cadere in sentimentalismi o in evasioni fantastiche ( alla new-age) .
Il cancro di cui soffrono i protagonisti non li rende diversi da altri loro coetanei ( per la loro abilità di ironizzare su tutto, per la loro insoddisfazione su come vanno le cose nel mondo..) ma allo stesso tempo li libera dalle pressioni materiali di cui la maggior parte dei ragazzi di oggi subiscono il fascino ( ideali del successo, del corpo senza difetti , l’invadenza del digitale e del virtuale ) e li spinge ad anelare ancora più realtà, ad esprimere ancora più intensamente il bisogno di toccare, sentire , a reclamare un surplus , un più di vita ( a cui Hillman, 40 anni fa, paradossalmente attribuì la causa di tanti suicidi tra i giovani ).
Come Paul Goodman osservò acutamente nell’ultimo dopoguerra dello scorso secolo , all’alba delle trasformazioni sociali che portarono al declino dell’ ‘epoca industriale , nelle società consumiste i ragazzi aspirano a qualcosa in più e di diverso dalle cose che posseggono e di cui si riempiono o vengono riempiti, qualcosa che non ha a che fare con nessuna ideologia politica, nessuna religione e che riguarda la sfera dello spirito.
Forse ci si potrebbe domandare il motivo per cui un libro di questo genere, che parla cosi apertamente della morte, abbia riscosso ora tanto successo tra i giovani, chissà se sia un loro modo per reagire all’insensatezza (o alla mancanza di prospettive) che provano nella loro vita quotidiana all’interno delle società occidentali in cui vivono, dove il dilemma maggiore a volte può riguardare la scelta di quale nuovo telefono cellulare comprare ( la stessa spinta che porta i giovani a scelte radicali dal suicidio alla fuga o più semplicemente a prendersi una pausa negli studi recandosi a fare volontariato o a lavorare come camerieri all’estero ) . John Green ha scritto un libro onesto che parla, senza fare il verso al gergo giovanilistico, di quel grumo di sofferenza e speranza che tocca il cuore dei ragazzi e muove le loro vite e che nelle nostre società contemporanee viene prevalentemente pervertito o annichilito : il desiderio.
“Nutrire il pianeta, energia per la vita “ è il tema dell’expo che si terrà a Milano nel 2014.
Nutrire e il nutrimento saranno le parole chiave del corso di psicologia di quest’anno.
Che cosa significa nutrire ? Come si nutre la mente e il mondo interiore ed esteriore ?
Qual è l’energia emotiva indispensabile per la vita interiore ? Cosa vuol dire sostenibilità da un punto di vista psichico e come si può coltivare la biodiversità mentale ed emotiva?
Ed infine quale origine hanno i disturbi dell’alimentazione ? Quali sono gli interventi più adeguati per affrontarli ? E cosa ci possono dire sulla struttura della nostra mente ?
La complessità di questo tema ci spingerà ad incrociare altri campi del sapere ( storia dell’arte, architettura, filosofia, sociologia, antropologia, scienze dell’alimentazione ma anche letteratura, cinema, fumetto, illustrazione …) mettendo in circolo elementi provenienti dalla psicoanalisi con altre tradizioni culturali di pensiero, per mettere a fuoco il nutrire , anche in relazione , come durante gli scorsi anni, con i vissuti e le storie di vita dei partecipanti .
Gli argomenti dei precedenti corsi sono stati:“Le passioni nel ciclo di vita “, “ I linguaggi del sogno ”, “ La mente attraverso i generi “.