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La forza o la mediazione?

La Sindrome da Alienazione Parentale è un fenomeno sempre più frequentemente usato da parte del Tribunale per i minorenni nelle cause di separazione ed affido di minori per prendere delle decisioni in merito all’affidamento dei figli in situazioni gravemente compromesse in cui si riscontra una elevata conflittualità genitoriale.

Di recente i Servizi sociali che si occupano di minori sono ritornati di nuovo sotto gli occhi dei riflettori mediatici per via di un video di un  bambino strattonato dagli agenti di polizia dopo il decreto del Tribunale che aveva usato la sindrome per giustificare un’  intervento riguardante la  contesa per l’affidamento del figlio tra i due genitori.

Una breve esplorazione sul web riguardo la “sindrome o disturbo di alienazione parentale”sorprende per l’animosità e talvolta la violenza verbale che genera sia nei suoi sostenitori sia nei suoi detrattori. Ma  la questione  situata  sulla frontiera  tra diritto e scienze umane è assai complessa e dovrebbe meritare una riflessione meditata , un esercizio di presa di distanza critica piuttosto che il tifo  di uno schieramento o l’altro..

La sindrome ha origine all’interno di una seria discussione della comunità scientifica  Statunitense dentro un determinato contesto sociale e storico, nel quale si presentavano un  numero sempre più frequente di false accuse di abuso e di maltrattamento  sui bambini riscontrate nelle situazione di separazione, dal prevalere di una cultura della  spettacolarizzazione mediatica del dolore e dal diffondersi dell’esigenza paradossale di costruirsi un’identità sul ruolo della vittima.

Il disturbo di alienazione parentale non è un semplice lavaggio del cervello, ma è qualcosa di molto più articolato e complesso, si tratta di un  processo relazionale   graduale di screditamento più o meno consapevole da parte di un genitore sull’altro che va a determinare un vissuto di “alienazione” appunto, di distacco emotivo, del minore verso l’adulto vessato.

Probabilmente tale categoria diagnostica non è meno attendibile del  sopravvalutato disturbo  di attenzione e iperattività: così ogni qualvolta una etichetta serve per ridurre la complessità e giustificare un’azione terapeutica e non è utile per descrivere l’esistente.

Nei manuali diagnostici esiste già una definizione che ci sembra più corretta e meno giudicante ed è quella di “disturbo di ansia di separazione”.     

Nella mia esperienza l’atteggiamento di rifiuto e di ostilità del minore verso un genitore non è mai immotivato e ha le sue valide ragioni: spesso il minore si è sentito trascurato, a volte impaurito , altre volte chiaramente maltrattato emotivamente dal genitore a cui si oppone .

D’altra parte il ruolo dell’altro genitore non è mai irrilevante , quest’ultimo infatti spesso sostituisce l’ex- coniuge con il figlio instaurando con lui un rapporto di vicinanza eccessivo e  la rabbia e altri sentimenti inevitabili vengono trasmessi inconsapevolmente al figlio, inoltre la situazione si complica quando sono presenti  nuovi partner.

La qualità del rifiuto si manifesta in forme diverse : ci sono bambini che negano l’esistenza del genitore  evitando pure di nominarlo, altri che si rifiutano semplicemente di vederlo, altri ancora che assumono un atteggiamento squalificante utilizzando le definizioni dell’adulto a cui sono affidati.

Ciò che appare chiaro nel corso delle terapie è che il  prezzo  che il bambino  paga per questa ostilità verso un genitore è alto sia su un piano emotivo che cognitivo , è  una menomazione della vita psichica, come se da un punto di vista fisico ci si rifiutasse di  usare un arto rendendolo inattivo .

Spesso ci si adopera per fornire un aiuto specialistico al figlio , uno spazio di cura e riparazione, sono terapie che durano anni e hanno esiti diversi.

Il punto che ci teniamo a sottolineare è che queste terapie non sono sufficienti se non esiste una seria convinzione dei   genitori di collaborare tra loro per trovare uno spazio di intesa:la mediazione familiare è il luogo più idoneo per  rassicurare i genitori e facilitare la drammatica transizione tra l’essere coppia a l’essere genitori,  passaggio mai indolore, ma necessario per evitare che l’esacerbarsi della conflittualità tra gli adulti si perverta in una contesa per il possesso del figlio . 

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