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La sofferenza dei migranti

“Ho troppi pensieri che girano nella testa e  non riesco più  a dormire “.  Questa era una delle frasi ricorrenti che ascoltavo da numerosi migranti ( del Mali e della Nigeria per la maggior parte ) al Centro di accoglienza per richiedenti asilo presente sul territorio di Magenta in cui ho lavorato per diversi mesi.

Le storie dei profughi sono storie straordinarie eppure cosi comuni , diverse nei particolari, ma uniche nella sostanza : “cerco lavoro e vorrei portare qui la mia famiglia, in Africa ci sono troppi problemi, ma in Italia la vita è difficile “.

Ho ascoltato storie di  guerra, di persecuzione, di tortura, ma anche di conflitti tribali e familiari , di viaggi in bilico tra la vita e la morte, di tragedie personali e sono stato testimone di un sentimento di insicurezza diffuso e generalizzato, situazioni sospese e precarie  che rischiavano di franare sotto la pressione di uno stress quotidiano.

La gestione del tempo sospeso che gira su se stesso e che non passa mai rappresenta una delle fonti di  maggiore stress per i migranti.

Questa gestione è resa ancora più problematica dal sistema legale messo in piedi per gestire la loro accoglienza. Si tratta di un insieme di procedure burocratiche basate su una logica emergenziale ed  espulsiva finalizzata al controllo delle frontiere e dei confini che esaurisce le risorse psicologiche degli immigrati. In particolare durante lo svolgimento delle commissioni viene richiesto agli stranieri di rendere conto della loro storia, ritenuta già in partenza non credibile, di giustificare la loro sofferenza.

Sofferenza che i migranti cercano di tenere costantemente sotto controllo per evitare di crollare psicologicamente e che spesso  si manifesta  nella  perdita della memoria e in episodi di ansia  catastrofica.

La richiesta di protezione internazionale viene spesso negata e in questo modo i migranti rivivono il trauma originario da cui hanno cercato  di allontanarsi. È frequente che in quel momento emergano in maniera più intensa angosce e paure e riaffiorino i ricordi dei traumi subiti. Il passato torna sia sotto forma di flashback improvvisi sia nel rimuginare continuo  della mente.

Quello che più colpisce è come la loro voce  venga messa in discussione. 

Di fronte al loro dolore  ho vissuto diversi momenti di dubbio, di inadeguatezza e di impotenza, spesso condivisi con operatori che lavorano in condizioni difficili a causa del carico emotivo da gestire.

Con i migranti non sono quindi sufficienti le parole, ma allo stesso tempo il silenzio è poco tollerato.

E’ riduttivo spiegare il loro disagio sia in termini culturali sia dentro le categorie occidentali di patologia e di salute. 

 Le differenti direzioni di sviluppo del progetto migratorio sembrano dipendere non solo dalla qualità dei traumi, ma anche dalle capacità individuali  di saper usare al meglio ciò che il presente offre in termini di possibilità di incontro e di apprendimento nella nuova cultura in cui si  trovano immersi .

Coltivare la curiosità e l’ascolto ed offrire una presenza che potesse mediare i conflitti e farli uscire da comportamenti di chiusura  sono le risposte che ho cercato di dare.

Un’altra possibilità di avvicinamento al loro mondo interiore e di trasformazione della sofferenza è costituita dalla libera espressione artistica attraverso i disegni,la pittura, ma anche il movimento (la danza ad esempio)  che permette di liberare il corpo attraverso la gestualità spontanea.

Un ulteriore  aiuto per i migranti finalizzato a recuperare dentro se stessi  sentimenti di sicurezza è stato quello  di rivolgere particolare attenzione alla dimensione spirituale  degli incontri, con ciò non intendo la religiosità, ma condividere l’interesse e la curiosità più aperta possibile  verso le credenze relative a ciò che non è visibile, quelle forze immateriali ed energetiche che agiscono  su di noi al di là della consapevolezza e che appartengono a tutte le culture.

Infine credo sia compito di ogni comunità creare  occasioni di scambio e di conoscenze tra i migranti e cittadini italiani per ridare speranza e fiducia nella possibilità di una convivialità reciproca .

Alberto De Giorgi

Foto: Marcia della pace Corbetta 1 Gennaio 2016

 Per riflettere:

www.bbc.com/news/world-africa-32392788

www.unhcr.org/pages/49e484f76.html

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